Quella che abbiamo attorno è, letteralmente, una bellezza che si sbriciola tra le mani.

Non stiamo parlando delle palme in piazza del Duomo che, più che sbriciolarsi, vengono incenerite. Parliamo del patrimonio architettonico che vanta il nostro Paese e che non riusciamo a tutelare fino in fondo. Da una parte vi sono esperienze egregie, come la gestione della Reggia di Caserta, che fanno ben sperare e dire “Allora non stiamo gettando tutto alle ortiche”. Dall’altra vi sono esperienze interlocutorie, come la copertura dell’Arena di Verona, di fronte alle quali il cittadino resta interdetto (non ha le competenze per esprimere un giudizio, e anche chi le vanta… alla fine non trova un accordo con i colleghi). Da ultimo vi sono esperienze che spaccano l’opinione pubblica in due (come la costruzione dello stadio a Roma, in un contesto molto, molto particolare).

Se non bastasse, spesso si trovano, nelle città italiane, capitali immobiliari dismessi in attesa di una vendita che non arriverà mai e, nello stesso contesto urbano, musei di valore che non trovano una collocazione. Perché non “matchare” queste due esigenze e valorizzare l’immobile mettendolo a disposizione dell’arte e della cultura?

È come se fossimo tutti imbrigliati da regole che noi stessi ci diamo. Non regole normative o burocratiche, ma di gusto, di opportunità non colte. Di poca voglia di osare. Meglio lasciare tutto com’è, perché per cambiare occorre muoversi in prima persona e rimboccarsi le maniche.

Il lavoro di “trasformazione” in location prestigiosa, che personalmente seguo, ogni anno, in occasione del Salone del Mobile, in riferimento a uno stabile in centro a Milano, costa una fatica immensa, ma lo rende vivo, protagonista del Fuori Salone. La soddisfazione è immensa, i ritorni incredibili. Non lasciamo che la bellezza si sbricioli tra le nostre mani, mentre noi siamo intenti a costruire nuovi capannoni…

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