Natale: cosa manca da fare?“Io ho sempre ritenuto il giorno di Natale [...] come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si diverte: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per mutuo accordo pare che aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba e non già come a un’altra razza di creature avviata per altri sentieri”. Le parole di Charles Dickens (Canto di Natale, 1843) sono attualissime. Ci sarebbe poco altro da aggiungere. Invece aggiungiamo, perché è per noi troppo importante mettere un punto fermo. Il problema del Natale è che dura troppo poco. È che le persone, come raccontiamo in un altro post, sono sì maggiormente serene e felici, ma anno dopo anno lo strato di cenere sotto cui riposano problemi e insicurezze è sempre più alto. Viviamo in un Paese ricco, uno dei più ricchi al mondo. Mediamente stiamo bene, ma gli altri ci fanno più paura di un tempo: quelli esageratamente benestanti perché non si meritano di essere tali. Quelli esageratamente poveri perché sono pericolosi (e vogliono rubare la nostra ricchezza). Stiamo bene, in famiglia, per qualche giorno, sino a che il primo sguardo storto non rovina il clima idilliaco e i rancori non esplodono. Per passare le feste senza intoppi occorre pensare poco, parlare poco, mangiare poco, amare poco. Siamo diventati davvero così? A metà tra la speranza di Dickens e le peggiori intenzioni dei nostri politici? La mia risposta – e quella di tutte le persone di buona volontà, che sono tantissime – è no. Siamo meglio di come ci raccontano, siamo anche meglio di come ci hanno fatto diventare, arroccati a difendere le nostre “cose”, i nostri oggetti. Che si guardi al Vangelo, a Buddha, a Maometto, il risultato è lo stesso: la dimensione spirituale è radicata in ogni uomo e gli dà senso. Il Natale è la “molla” che ci ricorda che possiamo volare molto più alto. Che possiamo essere altruisti… dunque più felici. Attenti, dunque abbracciare il mondo intero. Indietro |