Quello che non vediamo mai: dietro le sbarreIn questo periodo siamo tutti molti presi dal tema della difesa: vogliamo difenderci dagli altri, dai cattivi, dagli stranieri, dai mercati internazionali, dalla pioggia, dal freddo, dai fastidi anche minimi che bloccano il naturale svolgimento dei nostri “affari” quotidiani. Così agendo ci dimentichiamo però degli altri. Degli altri “veri”, non di quelli che vediamo in tv e che tanto ci mettono paura. Gli altri-veri sono, per esempio, i tanti carcerati – molti dei quali italianissimi – rinchiusi nelle tante strutture di detenzione del Paese. Una di queste, che rimane tra l’altro nel cuore di Milano, è il carcere di San Vittore. Qui è attivo un reparto terapeutico che viene chiamato “La Nave”, dedicato a coloro che sono in attesa di giudizio e che hanno problemi di dipendenza da droga e alcool. Cosa si fa, nella Nave? Si passa il tempo – cosa molto difficile, quando si è rinchiusi contro la propria volontà – in modo intelligente. Ci si sente parte qualcosa di più grande – un’imbarcazione, appunto – che dà piccoli lavori a tutti, perché solo tutti insieme si può andare avanti. Per esempio si canta. Nel coro. E poi ci si esibisce, anche fuori dal carcere, e si ha la possibilità per incontrare per un momento i propri cari. Al lavoro, insieme ai detenuti, come volontari, dai magistrati, ai giornalisti, ai docenti. Questo non è un esperimento bucolico. Ma la pena comprende la rieducazione, in molti troppo spesso lo dimenticano. Come quasi nessuno sa che qualche giorno fa don Colmegna (fondatore della Casa della Carità di Milano), ha ricevuto il Premio Cittadino dell’Anno Europeo per il suo impegno nei confronti dell’accoglienza. Come in molte occasioni ricordiamo, c’è un sottobosco attivissimo di persone che si impegnano per gli altri, per gli ultimissimi, che non hanno niente, nel senso pieno della parola; che chiedono di poter ricevere solo dignità. L’umanità non è sconfitta, non è piegata: a patto che le persone di buona volontà non smettano il loro operoso lavoro.
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