La domanda è scontata per i credenti. Particolare, invece, per chi non frequenta abitualmente la Chiesa o ha altre sensibilità religiose.

Pasqua significa letteralmente “passaggio”, vissuto poi in due modi diversi dal mondo ebraico e da quello cristiano, ma l’origine resta medesima.

Viene allora da chiedersi di quale passaggio abbia bisogno l’uomo contemporaneo. Da cosa deve uscire, in cosa si deve trasformare?

Veniamo da due anni di pandemia: un evento epocale di cui a mala pena conosciamo i contorni, essendoci tutti immersi dentro troppo profondamente.

Ora assistiamo, con incredulità, a una guerra non lontana da casa, e ogni giorno ci ripetiamo: “Davvero il Covid non ci ha insegnato niente”; dunque da una parte siamo allibiti, dall’altra straniti, dall’altra desiderosi di cercare speranza in un mondo che sembra davvero impazzito.

Non ce ne rendiamo conto ma stiamo facendo la storia; abbiamo cambiato le abitudini e ancora le cambieremo. Abbiamo imparato ad adattarci e, in un modo o in un altro, cerchiamo di stare a galla tra lavoro sempre più precario, affetti, difficoltà anche minute che ci disturbano assai (aumento delle bollette, del carburante, tutto sembra remare contro).

Quindi quale passaggio augurarci, se pare che nulla dipenda da noi?

Forse proprio quello di restare, nonostante tutto, attivi protagonisti della vita.

Il passaggio dal “farsi trascinare” all’essere maggiormente consapevoli.

Non possiamo inventare un vaccino per il Covid o andare in guerra, ma possiamo fare in modo, ogni giorno, di compiere il bene senza danneggiare gli altri.

Passando speranza di mano in mano.

Sarebbe già tantissimo.

Buona Pasqua nel segno più ampio possibile, accogliente e inclusivo dell’umanità di ciascuno.