Cosa resta, di noi, dopo il terremoto di agostoCosa resta, di noi italiani, dopo il terremoto che ha colpito il Centro Italia? Da un punto di vista personale la risposta viene fornita dalla sensibilità del singolo: dispiacere, tristezza, desiderio di rivalsa, rabbia per i tanti pasticci collaterali; voglia di occuparsi solo delle questioni di sostanza, perché tutto può venire spazzato via da un momento all’altro. Cosa dire, invece, mettendosi nei panni di chi nel quotidiano opera nel settore delle costruzioni, della compravendita immobiliare, dei servizi correlati alle abitazioni e al loro comfort? Che è giunto il momento del fare, guardando però avanti, molto avanti. Come molti dicono, stracciarsi le vesti lamentandosi della fragilità degli edifici del Bel Paese è inutile e troppo comodo. Facile ogni cinque anni essere costernati, suggerire nuove leggi e norme e poi, passata l’emergenza, nelle altre zone sismiche lasciate “tranquille” continuare a costruire con criteri evidentemente non più adeguati. Questa consapevolezza deve dare anche una spinta in più, di vero coraggio, per attuare ciò che non è mai stato fatto, ovverosia una ristrutturazione del patrimonio edilizio privato e pubblico, con un respiro, questa la proposta che giunge da più parti, almeno ventennale. Coraggio significa occuparci adesso degli edifici che saranno abitati dai nostri figli e nipoti. È garantire loro che non dovranno più trovarsi nelle situazioni che hanno vessato fasce intere di popolazione negli ultimi decenni. Certo da soli, i politici – che hanno un occhio di riguardo nei confronti di decisioni che non vadano a cozzare contro la loro rieleggibilità – poco possono fare. Spetta anche a noi fornire un contributo, in termini di consulenza, idee, progetti, desiderio di fare sistema e di mettere a fattor comune la conoscenza. Si può fare, dunque si faccia. Con fiducia. Indietro |