Qualche mese fa ci siamo occupati dell’architettura contemporanea, che lascia poco spazio all’agorà, all’incontro e confronto tra le persone.

Questo mese ribaltiamo il discorso, per osservare come le chiese – specie quelle costruite in questi anni – siano e debbano invece essere la sede di un incontro: quello tra Dio e l’uomo. Incontro concreto, non mentale, non distaccato, non etereo. La chiesa è, come sostiene anche l’artista italoargentino Raul Gabriel, incontro con “la carne”.

Per tantissimi secoli la chiesa ha rappresentato il distacco tra il clero e il popolo. Tutti gli spazi ben compartimentati non generavano solo paura e sottomissione, ma anche la conferma che la Parola potesse essere rivelata specialmente ad alcune classi sociali. Così non è, non è più.

La chiesa è oggi trasformazione, rotazione che ha il suo fulcro nell’altare e nel tabernacolo, dove tutto si compie e tutto viene esaltato.

Il bello per il bello, in chiesa, non funziona. È passato il tempo dell’esaltazione del potere temporale. Ora Gesù è tornato “francescano” e ogni cosa che si intromette tra Dio e l’uomo viene giustamente alleggerita.

Fate caso alle chiese del vostro quartiere: come sono state pensate?

Cosa aveva in mente l’architetto, cosa voleva trasmettere? Il suo estro creativo o il suo rispetto della sacralità?

Quando vi capita di entrare in una chiesa, qual è il primo sentimento che vi anima? Se è “sentirsi a casa”, se fa sorgere il pensiero “Qui davvero potrebbe esserci Dio”, la chiesa è stata pensata e creata in modo “divino”.

Se, invece, una chiesa fa esclamare: “Com’è lugubre…” significa che è stata costruita in un periodo in cui la vicinanza del Cristianesimo ai bisogni di trascendente dell’uomo… non era del tutto perfetto.

Imparare a valutare, anche con occhio profano, gli edifici religiosi, ci spiega molto della nostra civiltà. E dei valori che oggi ci animano, diversi anche da quelli di 50 anni fa.